Alle origini origini di una gara storica che ha lasciato come eredità un tracciato di scialpinismo sicuro e divertente nel cuore delle Dolomiti di Brenta.
Carlo Brena
Dici Tre Tre e pensi immediatamente a Madonna di Campiglio, alle vittorie di Ingemar Stenmark e alle folle oceaniche degli anni 90 per vedere Alberto Tomba, alle riprese video in notturna e al prestigio di una gara che è entrata nella storia. Ma la storia, o meglio la genesi, della 3Tre nasce ben prima del 1967, l’anno d’esordio.
LE ORIGINI DI UNA GARA
Siamo negli anni del dopo guerra, una Italia da ricostruire, da far rinascere dalle macerie di un conflitto che ha lacerato gli animi, ma che non è riuscito a sradicare la passione per lo sci nelle vallate alpine. E così sulle ceneri del conflitto mondiale, nasce in Trentino un piccolo circuito di gare composto da un trittico di prove: uno slalom speciale a Serrada di Folgaria, un gigante sulle nevi del Monte Bondone e una discesa libera a Fai della Paganella, e questo piccolo campionato trentino di combinata, prende il nome di Tre Tre. Nella prima tappa del 1950 si schierano ben 57 atleti in rappresentanza di Italia, Germania, Austria, Jugoslavia, USA e persino Turchia, perché l’eco delle competizioni valica ben presto i confini della provincia di Trento, tanto da richiamare l’attenzione e la partecipazione dei più forti sciatori dell’epoca, tra cui il trentenne Zeno Colò, che vince le prime due prove della Tre Tre ma non si presenta al via della terza gara al Bondone, perché già in viaggio verso i mondiali di Aspen, negli Stati Uniti, dove vincerà la discesa libera e il gigante, e l’argento nello slalom speciale.
Ma tornando indietro a quel giorno del 1950, Zeno Colò conquista la vittoria con oltre 15 secondi sul cortinese Alverà, in una gara in cui regole, norme e sistemi di sicurezza sono molto lontani da quelli odierni: sbaglia colui che si immagina la libera di Fai della Paganella come una prova veloce dei giorni nostri, perché siamo andati a ripercorrere il tracciato originale e abbiamo scoperto aspetti di quelle competizioni che ci hanno messo i brividi.
GRANDI ATLETI O SUPEREROI?
Innanzitutto, l’aggettivo ‘libera’ sta proprio a indicare la massima libertà di interpretazione del tracciato: «Di obbligatorio c’era partenza e arrivo, poi quello che stava in mezzo, che tipo di traiettorie, che passaggi nel bosco, ognuno faceva un po’ quello che voleva». A parlare è Renato, un simpatico signore cresciuto all’ombra delle Dolomiti di Brenta prima come boscaiolo e ora dedito al bar di famiglia, e che si prende cura di un piccolo casolare proprio sul tracciato della Tre Tre. Intorno a una bottiglia di bollicine Trento DOC ci racconta qualche aneddoto, come le memorie un po’ offuscate di suo padre che trascorse qualche sera con Colò a bere vino, giocare a carte e fumare qualche sigaretta senza filtro. «Non sarebbe da dire, ma quando scendevano i concorrenti stranieri, i tifosi locali mettevano rami di pini sul tracciato per poi toglierli al passaggio degli italiani» sorride Renato. E poi gli attrezzi, aste di legno piegate al calore di acqua bollente, attacchi Kandahar, e scarponi di pelle con chiusura a lacci, tralasciando il livello di preparazione fisica di quell’epoca. Altri tempi, altre gare.
IN VETTA CON I FRATELLI NICOLINI
Salutiamo la nostra improvvisata guida locale e proseguiamo nella risalita del tracciato Tre Tre che parte dalla base degli impianti di Santel a 1.038 metri e termina, dopo 6 chilometri di tracciato, a quasi duemila metri alla Selletta, «ma se vuoi attaccarci altri 200 metri di dislivello, puoi proseguire fino all’arrivo degli impianti» dice Elena Nicolini, azzurra di scialpinismo, che su questi nevi si allena quotidianamente insieme al fratello Federico fresco vincitore della sua prima gara di Coppa del Mondo. Il tracciato ricalca quello della discesa libera della Tre Tre, semplicemente noi l’abbiamo ripercorso in salita, in condizioni di massima sicurezza, tanto che è consigliato anche a ciaspolatori e famiglie con bambini (certo, bambini che hanno voglia di camminare).
Arrivati in quota Elena ci indica dove si trova il rifugio Pedrotti che la sua famiglia gestisce esattamente dall’altra parte della vallata: non lo vediamo, ma lo immaginiamo dormiente (apre solo in estate), lì in mezzo a una corona di cime innevate. Ci infiliamo gli sci per la discesa a valle. Per noi mille metri di discesa spaccagambe sulle piste battute di Fai, non prima di dare un ultimo sguardo a sinistra: come fosse un frammento di uno specchio rotto, il lago di Garda da qui sembra un fiordo norvegese.
PS: devo ancora indagare sulla titolazione Tre Tre modificata geneticamente in 3Tre, ma questo nulla toglie alla bellezza di questa esperienza
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